RUBRICA "Kutubiyya": "CAMMINO ORGOGLIOSA PER LA MIA STRADA" DI WALLADA

 

 

Con una bella e preziosa pubblicazione di qualche anno fa della casa editrice FusibiliaLibri, inauguriamo la rubrica "Kutubiyya", all'interno della quale si darà spazio ai libri dedicati ai mondi dell'Islām, in primis quelli arabi ma non solo.  

A chi conosce la città marocchina di Marrakech, questa parola suonerà senz'altro familiare: la moschea della Kutubiyya, infatti, con il suo famoso, imponente minareto, non è soltanto il più importante edificio religioso della Città Rossa, ma anche uno dei suoi simboli per eccellenza. Risalente al XII secolo, la Kutubiyya prende il suo caratteristico nome dalla radice araba ktb (كتب) che rimanda al libro e alla scrittura, perché nei suoi pressi - si ipotizza - si svolgevano i commerci dei venditori di libri ("kutub", plurale di "kitāb", libro). Nell'Islām, quello autentico, alla cultura e alla conoscenza in generale è sempre stato dato grande peso: "Dalla culla alla tomba, mettiti alla ricerca del sapere, perché chi aspira al sapere adora Dio" (Muhammad, Hadīth).

Marrakech, il minareto della Kutubiyya (foto mia)

Pertanto, perché non dare la stessa denominazione a una rubrica che si ponga come "luogo" dove, attraverso particolari pubblicazioni, provare a conoscere e a comprendere una realtà tanto complessa, variegata e affascinante come quella in questione, in modo tale che le parole possano effettivamente diventare un ponte?

Il primo titolo scelto ci porta nella sorprendente Spagna islamica, al-Andalus*, un capitolo di storia a dir poco importante di cui ci si dovrebbe ricordare maggiormente anche in Europa:


Cammino orgogliosa per la mia strada di Wallada bint al-Mustakfi, traduzione e cura di Claudio Marrucci, con un saggio di Antonio Veneziani, FusibiliaLibri, 2015 - pagine 120, ISBN 978-88-98649-20-4, € 13,00

Al seguente link la pagina dedicata alla pubblicazione sul sito dell'Associazione Culturale Fusibilia:  https://www.fusibilia.it/3471/
 
Per informazioni e ordini: fusibilia@gmail.com

Ripropongo di seguito la recensione, corredata ora di note sperando possano risultare utili, che scrissi all'epoca dell'uscita del libro:
 
Donne svelate

Pubblicare un libro dedicato alla poesia è sempre un atto di grande coraggio. Ancor più grande se a prendere tale iniziativa è un piccolo editore. Complimenti, pertanto, a FusibiliaLibri, casa editrice con sede tra la provincia di Roma e quella di Viterbo, la quale ha reso disponibile un’opera davvero originale e senza eguali qui in Italia.

Il personaggio di Wallada, principessa arabo-andalusa dalle lontane radici damascene, non è tra i più noti e la sua storia, autentica e piacevole sorpresa, ci trasporta d’un tratto nella Spagna califfale di mille anni fa. Un viaggio affascinante, alla scoperta di un mondo per noi in buona parte ancora sconosciuto; una vicenda dispersa e nascosta tra le ombrose pieghe di quella grande Storia in cui, inevitabilmente, si smarriscono le piccole storie degli uomini. Figurarsi poi come vi si smarriscano quelle delle donne, tanto nell’ambito della cultura cristiana, islamica o pagana!

    Ma quella di Wallada, figlia del califfo omayyade di Cordova al-Mustakfi**, vissuta per circa novant’anni sin quasi alla fine dell’XI secolo, non è una storia di poco conto: “poeta della spiritualità della carne e cantatrice della corporeità dello spirito”, come la definisce Antonio Veneziani nel suo suggestivo saggio che chiude questo libro, Wallada è giunta a noi attraverso una manciata di versi, frammenti preziosi di una produzione letteraria ben più vasta e, all’epoca, molto celebrata. Sullo sfondo di crisi e lotte politiche che porteranno il califfato di Cordova alla disgregazione in tanti staterelli locali, la nostra poetessa conduceva una vita secondo alcuni scandalosa, secondo altri tutto sommato virtuosa; senza dubbio, libera e indipendente da qualsiasi “tutela” maschile, nonché votata alla cultura. Il suo salotto letterario apriva le porte ad artisti, letterati, intellettuali; probabile non mancassero nemmeno i teologi, divenendo presto un punto di riferimento importante – non è difficile intuire – per tutta la regione; lei stessa vi accoglieva pure ragazze di umili e umilissime origini che provvedeva a sfamare e istruire e con alcune delle quali, stando al dibattito sempre aperto sul tema, avrebbe intrattenuto rapporti di dubbia natura. I suoi amori ufficiali, quelli eterosessuali, sono stati intensi e appassionati e ciò che sopravvive delle sue poesie lo testimonia in modo diretto. E talvolta dal suo calamo deluso e furente sgorgarono versi talmente invettivi da far cadere in disgrazia il malcapitato ex amante (come accadde al poeta Ibn Zaydūn***). 

    Definita la Saffo andalusa, a differenza della poetessa di Lesbo Wallada non si sposò mai né risulta, a dispetto del suo nome (in lingua araba, “prolifica, feconda”, da una radice - ولد - che rimanda al generare e al nascere), che avesse avuto figli, lasciando che a partorire fosse sempre e solo il proprio intelletto. Incurante del suo rango, se ne andava in giro senza indossare il velo e sulle vesti faceva ricamare i suoi versi. Era araba e musulmana per natali, ma rivendicava comunque la propria individualità femminile, perfettamente in grado di pensare, scegliere, decidere in autonomia, se così scriveva:

“Sono stata creata da Dio per la sua gloria, 

ma cammino orgogliosa per la mia strada.”

Da tutto ciò, piccoli tasselli di un mosaico ricostruito con pazienza malgrado le tante difficoltà, emerge il ritratto di una donna straordinariamente moderna, una femminista ante litteram, come sottolinea Claudio Marrucci, curatore del volume e traduttore dallo spagnolo dei testi (sia di Wallada sia di altre poetesse arabo/berbero-andaluse a lei contemporanee) inseriti in questa raccolta. Ecco riemergere, dunque, nomi finora ignoti di donne istruite, colte, raffinatamente talentuose al punto da trovare posto con i propri scritti, al pari dei poeti uomini, all’interno di prestigiose raccolte antologiche dell’epoca. E con le varie Muhya, Hafsa, Nazhum e le altre finalmente svelate al grande pubblico riemerge anche un angolo della vasta “dār al-Islām” (letteralmente, “dimora dell’Islām”) trapiantato in Europa, dove vivevano non soltanto musulmani, ma pure ebrei, cristiani e forse addirittura laici all’eccesso; dove, con l’Islām predominante, tolleranza e rispetto nei confronti di etnie e religioni in minoranza erano la norma; dove l’omosessualità maschile e femminile, seppur non legalizzata, era tutt’altro che un mormorio sommesso, dal momento che alcuni la mettevano in versi e più di un sovrano disponeva di harem affollati di uomini prestanti; dove arte e letteratura erano di altissimo livello e prosperarono a lungo; dove le donne scrivevano, filosofeggiavano e ricoprivano ruoli attivi nella società, senza che la cosa disturbasse o destasse scandalo bigotto. Tale era lo splendore andaluso fino all’arrivo prima dell’integralismo delle dinastie berbere del Maghreb**** e poi della cattolicissima Reconquista, sotto i cui colpi nel 1492 Granada esalò l’ultimo suo respiro. Un bellissimo capitolo in termini di civiltà, quello rappresentato da al-Andalus, della storia islamica e di quella europea nel contempo, sebbene troppo spesso si tenda a perderne memoria, specie sulla nostra sponda del Mediterraneo.

Si auspica che questa brillante pubblicazione possa essere un incentivo e un punto di partenza per intraprendere nuovi e approfonditi studi su quel mondo ormai lontano e i suoi protagonisti, Wallada bint al-Mustakfi in testa; soprattutto in un momento in cui la barbarie dilaga, in Europa come altrove, e, in un clima di avvelenamento generale, sembra essere più facile (e comodo) trovare sempre ciò che divide invece di ciò che unisce. Un momento, infine, nel quale abbiamo tutti bisogno della pura, impalpabile, misteriosa bellezza della poesia che, riprendendo ancora una volta le parole di Antonio Veneziani, appare come “un sentiero scosceso sullo splendore dello strapiombo che conduce al cielo, a quel poco cielo che ancora rimane”.

Laura Vargiu

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Note:  

* al-Andalus: la penisola iberica nei secoli della dominazione arabo-islamica, la cui conquista iniziò nell’anno 711 con Tariq ibn Ziyad (da cui prese il nome Gibilterra: jabal Tariq, “il monte di Tariq”) a capo di un esercito arabo-berbero. La presenza musulmana si protrarrà fino alla presa di Granada nel 1492, con il completamento della Reconquista cristiana.

** Califfo omayyade di Cordova al-Mustakfi: quella degli Omayyadi fu la prima dinastia musulmana al potere, quando il califfato divenne ereditario dopo gli anni  dei cosiddetti califfi ben guidati che, appunto, guidarono  la umma, la comunità musulmana, a partire dalla morte del Profeta nel 632; essa resse le sorti dell'allora mondo islamico tra il VII e l'VIII secolo, spostando la capitale a Damasco. Soppiantati con la violenza nel 750 dalla dinastia 'abbaside, che fissò invece a Baghdad la propria corte, gli omayyadi sopravvissero in al-Andalus, dove uno dei suoi esponenti si era rifugiato e aveva posto le basi per quello che poi sarebbe divenuto il Califfato di Cordova, il culmine della presenza araba in Spagna tra il X e l'XI secolo. Il padre di Wallada, Muhammad III al-Mustakfi, fu tra gli ultimi califfi della dinastia in un periodo di forti tensioni ed estrema instabilità politica.

***  Ibn Zaydūn: tra i maggiori poeti arabo-andalusi, egli nacque a Cordova nel 1003 e morì a Siviglia quasi settant'anni dopo. Viene tradizionalmente considerato un esempio di stile neoclassico e la sua opera omnia racchiude poesie molto eterogenee, tra le quali da parte degli studiosi è stato sempre dato particolare risalto a quelle erotiche. Famosa è rimasta la sua relazione con la principessa Wallada, della quale sono giunti sino a noi versi non proprio lusinghieri nei suoi confronti (li si trova all'interno della raccolta pubblicata da FusibiliaLibri).

**** Dinastie berbere del Maghreb: quelle degli Almoravidi prima e degli Almohadi dopo, la cui ascesa ed espansione tra il Marocco e al-Andalus copre un periodo complessivo databile tra l'XI e il XIII secolo. Una curiosità: la fondazione di Marrakech e la costruzione della Kutubiyya risalgono a quell'epoca.

 

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