RUBRICA "BEI MONDSCHEIN": BABEL, IL FESTIVAL CHE UNISCE LETTERATURA E TRADUZIONE COMPIE VENT'ANNI
a cura di Anna Maria Ferrari
Per il nuovo appuntamento della rubrica Bei Mondschein – letteratura tedesca al chiaro di luna, vi porto in Svizzera, precisamente a Bellinzona, capitale del Canton Ticino, dove sono stata dall’11 al 14 settembre scorso in occasione della ventesima edizione di Babel Festival di letteratura e traduzione. Ogni anno il festival approfondisce un tema diverso coinvolgendo, oltre alla letteratura, anche altre arti come la fotografia e il cinema. Questa volta ha avuto al centro dell’attenzione l’italiano in rapporto alle altre tre lingue della confederazione elvetica: francese, tedesco e romancio, con cui – cito dal programma – «sfiorandosi e compenetrandosi, disegna e ridisegna geografie linguistiche e letterarie dai caratteri unici e condivisi, fertili e aperte, in costante ridefinizione.»
Proprio il forte legame tra letteratura in lingua originale e traduzione è il fiore all’occhiello di Babel, che rappresenta anche un prezioso momento di formazione per chi aspira a diventare traduttore letterario proponendo laboratori della durata di dieci ore, in cui i partecipanti imparano a tradurre dal francese, inglese, portoghese, spagnolo e tedesco, guidati da alcune delle più importanti traduttrici letterarie italiane.
Dal venerdì alla domenica il calendario è ricco di incontri sulla narrativa, la poesia, la traduzione, e quest’anno la serata inaugurale ha avuto come protagonista Dante con Claudio Giunta che ha raccontato Il mio Dante preferito – un’avvincente narrazione di passi meno noti della Commedia ma non per questo meno affascinanti – e poi una performance teatrale dal titolo Inferno. Esercizi per voce e violoncello sulla Divina Commedia, eseguita da Chiara Guidi e Francesco Guerri; una rappresentazione di voci e suoni infernali che ha dato corpo al viaggio di Dante.
Tra gli ospiti di questa edizione hanno figurato Lukas Bärfuss e Judith Keller, autori svizzero-tedeschi che, dialogando con Margherita Carbonaro e i partecipanti al corso di traduzione dal tedesco, hanno fatto conoscere meglio al pubblico la loro opera.
Lukas Bärfuss ha presentato il suo ultimo libro, Il cartone di mio padre, pubblicato di recente da L’orma editore e tradotto da Margherita Carbonaro. Nella bella cornice del Teatro Sociale di Bellinzona, l’autore e la sua traduttrice hanno condotto con un bel piglio una doppia intervista in cui hanno affrontato le tematiche del testo. Il cartone di mio padre parte dalla vicenda personale dell’autore che, alla morte del genitore avvenuta in miseria e in mezzo a una strada, e ricevuto uno scatolone con le sue ultime cose, vuole riflettere in maniera profonda sui concetti di origine, proprietà ed eredità nella nostra società occidentale. Invece di aprire il cartone Bärfuss lo tiene chiuso e lo porta con sé nei vari traslochi della sua vita, per venticinque anni. Fino a quando un giorno deve farci i conti: «Ma quel momento mi prese una curiosità pericolosa. Non sopportavo più la presenza muta del cartone, ci sentivo dentro il silenzio su mio padre. E non volevo che un giorno quel silenzio si trasmettesse ai miei figli. […] Con l’eredità mi succedeva lo stesso che a tutti: prima o poi si era costretti a occuparsene» (Bärfuss 2025:9).
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| Judith Keller |
Successivamente, Judith Keller ha conversato con noi partecipanti al laboratorio di tedesco in un incontro dal titolo Come ti traduco?, curato dalla Casa dei traduttori Looren nell’ambito del suo programma di sostegno a traduttrici e traduttori esordienti. Ancor prima di arrivare a Bellinzona, avevamo lavorato su alcuni testi di Keller tratti dalla raccolta Ein Tag für alle* (Una giornata per tutti), ancora inedita in italiano. Si tratta di brevi, a volte brevissime storie che partono da una piccola realtà, come l’osservazione di un oggetto o una frase sentita per caso, e che nella narrazione assumono aspetti insoliti e misteriosi. La sua scrittura, brillante e molto precisa, ricca di arguzia e ironia, è all’apparenza semplice da restituire in italiano, salvo accorgersi che non è così quando si affrontano concretamente i testi, dato che una delle cose che più contano in traduzione è la creazione dello stesso effetto che quel testo ha in lingua originale.
Ecco, quindi, che per tutti noi la restituzione della sua voce arguta e ironica è stato uno degli aspetti più importanti su cui concentrarci. Ma non solo. I racconti di Judith Keller, essendo brevi, giocano molto sul ritmo e sulla musicalità, e su effetti sonori come l’allitterazione e l’onomatopea. Spesso si ha bisogno di lunghe ricerche e riflessioni per trovare in italiano il giusto ritmo e il suono uguale, o almeno simile, che ricrei quell’effetto. E qui entra in gioco proprio il bel lavoro di squadra che si fa nelle ore di laboratorio: lavorare tutti insieme, scambiandoci le diverse soluzioni traduttive che ognuno di noi ha trovato per suo conto in precedenza, confrontarsi sulle diverse interpretazioni che abbiamo dato al testo, permette di arrivare a una traduzione condivisa creata in sinergia e che incontra il gusto personale di ciascuno.
Nel corso del proficuo incontro avuto con l’autrice nella serata di sabato, in cui abbiamo potuto farle domande che ci chiarissero dubbi e curiosità, lei ci ha spiegato che i suoi microracconti possono considerarsi una prosa poetica; testi appunto in prosa dove i tratti formali (ripetizioni, ritmo, musicalità) ne sono parte costitutiva ed è importante che vengano colti e trasportati nella lingua d’arrivo. Allo stesso modo le piace non spiegare tutto, ma lasciare volutamente degli aspetti poco chiari così che il lettore possa interpretarli a suo piacimento. Vediamo qualche esempio pratico.
La raccolta Ein
Tag für alle
si compone di 131 storie che corrispondono a diversi momenti della
giornata. Il primo testo, Prolog,
(Prologo), si apre sull’alba, in un luogo indefinito ma pieno di
potenzialità in cui può accadere un evento improvviso come l’arrivo
di uno stormo di uccelli. Nel chiarore mattutino, però, quando i
contorni delle cose sono ancora indistinti, uno stormo di Baustangen,
barre di ferro usate in edilizia, somiglia a degli uccelli posatisi
un po’ ovunque. Ecco, quindi, che nella nostra traduzione le
Baustangen
sono diventate uno
stormo di picchetti,
laddove il suono di questa parola richiama il picchio. Questa
soluzione ci ha permesso di restare nel campo semantico degli animali
aderendo all’immagine creata dall’autrice.
Nel suggestivo
racconto Die
langen Schatten
(Le ombre lunghe) una donna seduta in una piazza gioca a immaginare
che le ombre delle persone siano dei contenitori che si aprono a
scatto per far uscire i corpi e si richiudono a scatto quando i corpi
vi rientrano. Quest’immagine dell’aprirsi e chiudersi a scatto, facendo uscire ed entrare qualcosa, è espressa in tedesco dai verbi
hinausklappen
e hineinklappen,
dove il suono “klapp”
è una chiara onomatopea. Qui valeva la pena di provare a rendere non
solo il concetto ma anche il suono, e il seguente brano «Die Möwen
hatten einen leuchetenden Rand und die Menschen sahen aus, als wären
sie aus ihren eigenen Schatten hinausgeklappt. Es war, als könnte
man sie nur antippen und sie würden sofort in ihren langen Schatten,
die eigentlich eine Art Behälter waren, hineinklappen.» è
diventato in italiano: «I gabbiani avevano un contorno luminoso e
gli umani sembravano usciti con un clic dalle loro ombre. Appena un
tocco e con un clac sarebbero rientrati subito nelle loro ombre
lunghe che in realtà erano come contenitori». Le borsette a
clic-clac, che hanno la doppia valenza di aprirsi e chiudersi a
scatto e di essere dei contenitori, ci sono venute in soccorso per
sciogliere un passo di cui vedevamo sì l’immagine, ma la resa
linguistica non era di immediata soluzione.
Un terzo e ultimo esempio è tratto dal racconto Am zu kleinen See (In riva a un lago troppo piccolo) e riguarda una parola inventata da Keller: Flugzeugkäfer, letteralmente scarafaggioaeroplano. Sfruttando la grande risorsa della lingua tedesca nel creare parole composte, Keller ha inventato questo termine e anche noi ci siamo sentiti autorizzati a forzare l’italiano in questa direzione, creando un composto ad hoc, per evitare, come spesso accade, che il composto venga sciolto perdendo forza e pregnanza di significato. Le soluzioni trovate sono più d’una: scarafaereo, scarabaereo, coleottaereo.
Tradurre vuol dire stimolare la propria creatività e usarla attivamente soprattutto quando la lingua d’arrivo oppone resistenza e non ci si può adagiare su una piatta corrispondenza di vocaboli, ma occorre un suono, un’immagine, un bel giro di frase per far emergere la voce del testo.
In chiusura ci tengo a esprimere alcuni ringraziamenti. Questa edizione di Babel è stata l’ultima sotto la guida del presidente Paolo Agustoni e del direttore artistico Matteo Campagnoli, poeta e traduttore. Grazie per il grande impegno che hanno trasfuso in questo lavoro ventennale e perché questi ultimi tre anni in cui sono andata al festival sono stati una tappa molto importante nella mia formazione di traduttrice letteraria. L’augurio alle nuove direttrici artistiche, Lara Ricci e Anna Schlossbauer, è di continuare su questo percorso così ben tracciato pur nelle novità che vorranno apportare.
Grazie a Margherita Carbonaro, bravissima traduttrice e generosissima insegnante che, dandoci sempre testi molto complessi, fa vacillare le nostre certezze ma ci arricchisce di nuove capacità e conoscenze.
Grazie, infine, alle mie compagne e al mio compagno di corso, con i quali è stato bellissimo far lavorare i nostri cervelli e trascorrere insieme le quattro intense giornate del Babel Festival!
Per saperne di più sul Babel Festival, si può visitare il sito: www.babelfestival.com
© Anna Maria Ferrari
Nota:
* edition spoken
script, Luzern 2024.
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