RUBRICA "BEI MONDSCHEIN": INTERVISTA A RACHELE SALERNO, TRADUTTRICE DI "MARZAHN, MON AMOUR" DI KATJA OSKAMP

 

Bei Mondschein 🌙
Letteratura tedesca al chiaro di luna

 a cura di Anna Maria Ferrari

 

Si ricorda ai lettori che le parole evidenziate sono tutte cliccabili e permettono di aprire utili pagine web di approfondimento.

 

Bentornati a un nuovo appuntamento con la rubrica Bei Mondschein – Letteratura tedesca al chiaro di luna, il primo del 2025!  

Lasciamo i boschi della Turingia e le fiabe ottocentesche di Ludwig Bechstein, l'articolo sul quale potete ritrovare qui, e ci spostiamo a Berlino per parlare di un libro di letteratura contemporanea: Marzahn, mon amour – Storie di una pedicure di Katja Oskamp.  

Già il titolo ci dice che a fare da sfondo alla storia, o meglio, alle storie, è il quartiere di Marzahn dove, come nel resto della Germania Est durante la DDR*, si costruirono i Plattenbauten, i palazzoni prefabbricati alti anche quindici piani, che rappresentarono un modo rapido ed economico per sopperire alla mancanza di abitazioni dopo la seconda guerra mondiale e all’afflusso di immigrati dall’Est. 
 

Fonte immagine: TrendEgel.com

 
È in questi palazzi che abitano i protagonisti delle storie del volume qui proposto. 

Katja Oskamp (fonte: NDR)
Con questa raccolta uscita in Germania nel 2019, l'autrice, Katja Oskamp (Lipsia, 1970), ha riscosso subito un grande successo, vendendo, nel giro di pochi mesi, oltre 100.000 copie. In Italia è stata pubblicata da L'orma editore nel 2023.
 
Rachele Salerno 
 
La bellissima traduzione italiana è a cura di Rachele Salerno, con cui oggi faremo una chiacchierata per andare alla scoperta del dietro le quinte dell'opera e della traduzione in generale. 

Personalmente, comprai il libro di pancia, appena uscito. La sua copertina rosa shocking e il nome di uno dei quartieri di Berlino mi avevano incuriosita subito, e poche righe dell’incipit erano state sufficienti a convincermi all’istante.

L’autrice-protagonista, nel bel mezzo dei suoi quarant’anni, con un marito malato e una carriera da scrittrice che non vuole saperne di decollare, con una metafora efficace annaspa “al centro di un grande lago, senza fiato, fiaccata dalla monotonia delle bracciate**. È in questa situazione di stallo che rovescia tutto e, seppur tra dubbi e paure, si iscrive a un corso per diventare pedicure. Ma perché proprio questa scelta? Oskamp sceglie un’attività pratica, concreta, che le permetta di staccare dall’attività mentale dello scrivere che, appunto, stenta ad avviarsi. Ottenuto il diploma va a lavorare in un salone d’estetista di Marzahn dove, oltre a prendersi cura dei piedi degli abitanti del quartiere, ascolta le storie che questi, tra pediluvi, calli e massaggi, le raccontano. Così, la storia della sua vita rimessa in discussione fa da cornice alle vicende dei suoi clienti, per la maggior parte persone anziane alle prese con malattie e solitudini di vario tipo.

Ogni capitolo ha come titolo il nome (fittizio) di un cliente e si apre con descrizioni del quartiere di Marzahn, dove abbonda il verde pubblico, le strade sono lunghe e ampie e il vento soffia forte dalle pianure del Brandeburgo; un quartiere, insomma, dove il grigiore è solo apparente. La scrittura è pulita, attenta e avvolgente, e durante il trattamento di pedicure tra Oskamp e i clienti si instaura un dialogo che ci porta all’interno delle loro vite. È un momento intimo, durante il quale le persone si lasciano andare al ricordo, al racconto e a piccole confessioni.

È ammirevole, infatti, il modo in cui molte di queste persone hanno affrontato situazioni difficili nel corso della loro esistenza. Penso, ad esempio, alla storia della signora Bonkat, rifugiata della Prussia orientale, solida e indipendente: “Mi sorprende quanto sia immune al vittimismo, una qualità che la rende del tutto anacronistica***. Oppure alla signora Blumeier, poliomielitica ma sempre di ottimo umore: “La signora Blumeier fa da sola tutto quel che può, anche le battute sui disabili".****

Sono storie che arrivano da un tempo in cui il mondo era diverso da quello odierno e diversa era la tempra delle persone. La stessa Katja Oskamp, in un’intervista rilasciata a radioeins, spiega quanto abbia imparato dall’ascolto dei loro racconti e quanto l’abbiano aiutata a relativizzare e superare la sua crisi esistenziale, piccola se confrontata con le grandi crisi attraversate dai cuoi clienti.

Ma entriamo nel vivo del libro e della sua traduzione italiana con Rachele Salerno che, molto gentilmente, ha accettato questa intervista.

  • Ciao Rachele, e benvenuta! Qual è stata la tua prima impressione dopo aver letto Marzahn, mon amour e come hai deciso di impostare la traduzione?

Ciao, Anna Maria, e grazie per avermi invitata in questo spazio. Sarò sincera: più ancora della prima impressione che ho avuto leggendo Marzahn, mon amour, ricordo le parole con cui l'editore mi presentò il manoscritto: “È un piccolo gioiello”. Quando ho iniziato a leggerlo, ho subito capito che non potevo che essere pienamente d’accordo.
Per me era fondamentale impostare la traduzione in modo da preservare sia la delicatezza che la profondità dell’originale. Tuttavia, noi traduttori ci troviamo spesso di fronte a un dilemma: bella e infedele o brutta e fedele? E, talvolta, sembra davvero impossibile trovare una via di mezzo.
Il tedesco di Oskamp è essenziale, con un ritmo rapido e un registro quotidiano punteggiato da slanci aulici. Ogni parola è misurata e densa di significato. Il rischio, nel cercare una traduzione troppo fedele, era di ottenere un italiano stentato, troppo semplice, poiché la paratassi che funziona così bene nell’originale non avrebbe necessariamente prodotto lo stesso effetto nella nostra lingua. Ho quindi cercato di trovare un equilibrio, mediando senza tradire troppo.
Un altro aspetto che volevo trasmettere al lettore italiano è la struttura quasi teatrale del testo. I personaggi entrano in scena, recitano la loro parte e poi si ritirano. È come se, tra un episodio e l’altro, si potesse immaginare un sipario che si alza, lasciando spazio a una nuova ambientazione. Ogni scena ha una sua unicità, mentre lo sfondo resta invariato, eccezion fatta per il prologo, l’episodio delle terme e l’epilogo. Non a caso, queste parti si distinguono anche per uno stile molto diverso.

 

  • Hai incontrato difficoltà o avuto dubbi per cui ti sei confrontata con l’autrice, Katja Oskamp? Com’è stata l’interazione con lei?

Durante la traduzione ho incontrato diverse difficoltà, a partire dalla scelta di come rendere il titolo: per Fußpflegerin era meglio usare “pedicure” o “podologa”? Optando per la prima opzione, come avrei potuto distinguere nel testo tra il trattamento e la persona che lo esegue? Questi dubbi, però, riguardavano quasi sempre l’efficacia della resa in italiano, e il dialogo con l’autrice, forse, non mi avrebbe aiutato molto. Anche se, ripensandoci, mi è dispiaciuto non aver avuto l’occasione di confrontarmi con lei.
Non sempre, infatti, noi traduttori abbiamo il tempo e la possibilità di interagire con gli autori dei testi che traduciamo. Ricordo bene quanto, in altre occasioni, il confronto diretto con chi ha ideato, immaginato e scritto un testo sia stato fondamentale per il mio lavoro.
Qualche anno fa, ad esempio, mi sono occupata della traduzione di un libro per bambini ricco di “nomi parlanti” – quei nomi il cui significato è essenziale per comprendere i personaggi o il contesto – ed era importante adattarli per renderli comprensibili ai piccoli lettori italiani. Alcuni non hanno posto particolari problemi di interpretazione: il professor Karwiesel, ad esempio, nella mia versione è diventato De Tassis. Per altri, però, il confronto con l’autrice è stato preziosissimo.


  • Nel libro ci sono riferimenti a periodi storici del passato. Hai fatto un lavoro di ricerca e studio per tradurre questi brani?

A dire il vero, il lavoro di ricerca e studio è iniziato ancora prima di cominciare a tradurre. In genere, parto sempre documentandomi sull’autore o l’autrice che mi appresto a tradurre. Non conoscevo Katja Oskamp prima di leggere Marzahn, mon amour, quindi mi è stato molto utile approfondire la sua figura, il suo passato da drammaturga e studentessa di teatro, per comprendere meglio il contesto e lo stile della sua narrativa.
Successivamente, ho letto tutto ciò che potevo su Marzahn. Confesso che, prima di allora, non sapevo molto su questo quartiere berlinese. Pur essendo stata a Berlino diverse volte, sempre da turista, mi mancava una conoscenza approfondita di quella realtà. Avevo bisogno di immergermi nel contesto, di comprendere gli stereotipi associati al luogo, gli stessi che Oskamp si impegna a smantellare lungo tutto il romanzo.
Anche il periodo storico è stato oggetto di studio. Per molti termini legati alla storia e alla cultura esisteva già una sorta di “traduzione ufficiale”, che ho potuto adottare. In altri casi, invece, ho preferito utilizzare delle perifrasi per rendere immediatamente comprensibile al lettore italiano ciò di cui si stava parlando.


  • Dietro l’apparente leggerezza che il sottotitolo ispira, Storie di una pedicure, il libro dischiude al lettore una grande profondità che viene dal racconto delle vite dei clienti. Si tratta spesso di persone anziane da cui emergono abbandono e solitudine, ma anche dignità, forza d’animo e buon umore. Quali emozioni hai provato nel tradurre le loro storie?

È stata un’esperienza davvero coinvolgente. Oskamp riesce a suscitare emozioni intense semplicemente raccontando istantanee di vita quotidiana di persone comuni, lì per una pedicure. Pur commentando raramente gli episodi che mette insieme, riesce sempre a rendere chiara la sua opinione, dirigendo con maestria le simpatie e le antipatie dei lettori.
Traducendo, ho provato un ventaglio di emozioni: tenerezza, disgusto, fastidio, commozione. Sensazioni molto diverse tra loro, ma che l’autrice riesce a far emergere attraverso i vari protagonisti che animano la fitta agenda di appuntamenti del salone. Confrontandomi con altri lettori, ho avuto conferma che queste emozioni non sono un’esperienza isolata: tutti sembrano provare qualcosa di simile, anche se ciascuno si avvicina alla lettura con il proprio vissuto e guarda al racconto attraverso il filtro della propria sensibilità.
Ecco, forse questo è uno dei pochi romanzi che ho tradotto – se non l’unico – che mi sentirei di consigliare a chiunque, indipendentemente dalla predilezione per un genere specifico. È davvero una
commedia umana
che parla a tutti.
Il personaggio che mi ha emozionata di più, durante la traduzione, è stato Gerlinde Bonkat: la sua esistenza silenziosa, eppure preziosa, una vita che sarebbe probabilmente rimasta nell’ombra se Oskamp non avesse scelto di raccontarla.


  • Hai ragione, la storia di Gerlinde Bonkat ha emozionato molto anche me. Invece come hai scelto di rendere la parlata berlinese dei personaggi?

È un elemento importante del romanzo e ne abbiamo discusso subito con la casa editrice. Non ci piaceva affatto l’idea di renderlo attraverso un dialetto italiano, quindi ho scelto di tradurlo utilizzando forme più “sgrammaticate” dell’italiano, tipiche della lingua parlata.

 
  • Puoi raccontarci qualcosa sulla tua formazione, su come ti sei avvicinata al mondo della traduzione e quali sono le tue lingue di lavoro?

Qui c’è il rischio concreto che mi dilunghi troppo, ma proverò a sintetizzare. In un certo senso, potrei dire di aver iniziato a tradurre già al liceo. Frequentavo il classico e mi divertivo con le versioni di latino e greco (le chiamiamo in modo diverso, ma, in fondo, sono traduzioni), partecipando anche ai certamina, vere e proprie gare di traduzione.
All’università ho studiato filosofia, e approfondire il tedesco è stata una scelta quasi obbligata. Durante un Erasmus a Heidelberg ho affinato la conoscenza della lingua, e nella mia tesi magistrale ho tradotto gran parte di un’opera inedita scritta da un ammiratore di Nietzsche. Successivamente, ho proseguito con un dottorato su Nietzsche, che mi ha portata anche in Francia per un periodo.
In parallelo, avevo iniziato a scrivere alle case editrici per cercare di coronare il mio sogno di lavorare in editoria. Non avevo ancora un’idea chiara di quale fosse il mio posto, e stranamente non avevo mai pensato di trasformare la traduzione nella mia professione. Poi, nel 2015, è arrivata una proposta da Rizzoli, e da allora non mi sono più fermata. Ho iniziato traducendo principalmente saggi, per poi dedicarmi sempre più alla narrativa.
La mia principale lingua di lavoro è l’inglese, seguita dal tedesco e dal francese. Tradurre è un lavoro solitario: ci sei tu, i fogli del manoscritto da tradurre, e un documento vuoto sullo schermo del tuo pc. Ma è proprio quel foglio bianco che, riga dopo riga, mi permette di dar voce al mio animo creativo. È un lavoro complesso, ma incredibilmente entusiasmante.

 

  • Qual è il tuo rapporto con la Germania e la sua lingua?

Il mio amore per il tedesco è nato durante una vacanza a Berlino, quando avevo tredici anni. Mentre gli altri la consideravano una lingua aspra e troppo dura, io ascoltavo affascinata le conversazioni sui tram e leggevo ogni scritta con il desiderio di capirne il significato. All’università ho finalmente avuto il tempo e il modo di studiare il tedesco, appassionandomi anche alla sua letteratura. Grazie a ciò, ho avuto l’opportunità di vivere in Germania: dopo un primo Erasmus a Heidelberg, ci sono tornata più volte, prima a Friburgo, poi in Turingia, tra Erfurt e Weimar.
Ho vissuto la Germania da studentessa e da ricercatrice, sempre per periodi relativamente brevi, e forse questo ha limitato la mia percezione più profonda del paese nella sua essenza. Eppure, la mia sensazione è che la Germania sia un luogo dove si possa vivere bene, grazie alla sua efficienza, alla sua attenzione per la qualità della vita e a un equilibrio tra modernità e rispetto per le tradizioni. È un paese che accoglie chi è disposto a rispettarne le regole, offrendo opportunità e spazi per costruire una vita serena e gratificante.

 

  • Una parola tedesca che per te è sempre difficile da tradurre e perché.

Non credo ci sia una parola specifica che trovo particolarmente difficile da tradurre. O meglio, ce ne sarebbero tante, ma in generale penso che una delle sfide maggiori sia rendere la facilità con cui in tedesco si possono sostantivare gli aggettivi, anche i più astratti. Ogni volta che ne incontro uno, mi vengono i sudori freddi. E poi, ovviamente, ci sono i sostantivi composti, che in tedesco permettono una precisione assoluta unita a una straordinaria incisività, mentre in italiano spesso devono essere sciolti in perifrasi più lunghe e articolate.
In ogni caso, credo di non dire nulla di nuovo osservando che i veri grattacapi arrivano sempre dai giochi di parole. In
Marzahn, mon amour, per esempio, mi sono imbattuta in un gioco basato sulla polisemia del termine «Star», che in tedesco significa sia «storno» sia «cataratta», e nella combinazione «grüner Star» indica il «glaucoma». Nell’episodio in questione, Oskamp chiede alla signora Janusch se il suo «storno verde si sia rivelato un tody verde durante l’intervento». I tody, un’altra specie di uccelli, erano stati citati in precedenza. Insomma, un nodo davvero intricato.
Per risolvere, ho deciso di giocare sull’espressione italiana «vedere i sorci verdi», trasformandola nella domanda se, durante l’intervento, avesse visto «i tody verdi». Ovviamente, c’è sempre la possibilità di cavarsela con una nota del traduttore, ma è una soluzione che cerco di evitare, soprattutto in un romanzo.
Ricordo ancora nitidamente quella che penso fosse una delle prime pagine del
Signore degli Anelli, in cui la traduttrice spiegava in una nota l’intraducibilità dell’espressione «into the blue». Avevo dieci anni alla mia prima lettura, e rimasi spiazzata: non avevo mai riflettuto sul fatto che quel libro fosse stato scritto in un’altra lingua, né tantomeno sul fatto che fosse un’opera di finzione. Quella nota aveva un po’ spezzato la magia. È per questo che, quando possibile, cerco sempre di evitarle.

 

  • Quale autore o autrice desidereresti portare in Italia, non necessariamente di lingua tedesca?

Devo ammettere di essere un po’ impreparata su questa domanda. È raro che legga testi di autori emergenti non italiani. Quando vivevo all’estero ogni tanto mi capitava, ma ora ho perso l’abitudine di seguire le nuove uscite in inglese e tedesco, a meno che non si tratti di autori già affermati.
Posso però dirti che sono onorata di aver prestato le mie parole a Katja Oskamp e sono felice che L’Orma abbia scelto di portarla in Italia.
Marzahn, mon amour è davvero un romanzo delizioso, capace di sorprendere e conquistare chiunque lo legga.

 

  • Un grande classico del passato che vorresti ritradurre e perché.

Che domanda difficile! Mi verrebbe da rispondere: tutti quelli che ho amato, perché non c’è modo migliore per immergersi in un testo e assaporarne ogni sfumatura. Tradurre è, per me, la forma di lettura più lenta, attenta e accurata che esista. Ogni volta che mi capita di rileggere un classico, negli ultimi anni, mi viene voglia di provare a tradurne qualche pagina. A volte lo faccio anche solo per divertimento, per poi confrontare la mia versione con quelle esistenti. Se però dovessi proprio scegliere, più che un titolo specifico mi orienterei verso due autori: Thomas Mann e Nietzsche. Di Mann mi affascina la complessità e l’eleganza della sua lingua, un vero piacere e una sfida da affrontare. Nietzsche, invece, è una scelta che sento anche affettiva, ma soprattutto lo considero un autore che rappresenterebbe una sfida costante, per la densità e la profondità del suo pensiero. 

Grazie a Rachele per averci concesso la pubblicazione della sua fotografia e, soprattutto, permesso di entrare nel suo laboratorio raccontandoci l’ottimo lavoro che ha svolto su questo bellissimo libro: sono convinta che spiegare qual è il percorso che si cela dietro la traduzione di un testo sia un modo per rendere i lettori consapevoli dell’importanza del ruolo dei traduttori, offrendo una ampia panoramica sulla complessità del tradurre, che non è una mera trasposizione di parole ma la trasmissione di un mondo. 

Katja Oskamp, Marzahn, mon amour - Storie di una pedicure, L'orma editore, 2023, pp. 144, € 16,00 - isbn: 9791254760420

Al seguente link, la scheda del libro sul sito della casa editrice:

https://www.lormaeditore.it/libro/9791254760420

© Anna Maria Ferrari


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Note: 

* Deutsche Demokratische Republik (Repubblica Democratica Tedesca), 1949-1990.

** pag. 9

*** pag. 115

**** pag. 27


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Commenti

  1. A proposito di nomi parlanti ricordo che nella traduzione italiana di Anime Morte di Gogol non si era cercato un equivalente ma si era messa una nota esplicativa

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    1. Ciao, Rachele, e grazie di cuore! Un'intervista davvero interessantissima! Complimenti per il tuo lavoro! ⚘⚘⚘

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