RUBRICA "DALL'ULTIMO BANCO VEDEVO IL MONDO - I RACCONTI DI ANDREA": RACCONTO D'ESTATE

 Dall'ultimo banco vedevo il mondo 

I racconti di Andrea

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RACCONTO D’ESTATE

 

Aveva speso gli ultimi spiccioli per quella bottiglia, come se dentro ci fosse un biglietto con una richiesta d’aiuto. 
Con quel tesoro in una mano salì le scale due gradini alla volta, agile e ansioso; il cuore già cominciava a correre più forte. Si aggiustò la giacca, tutta sbilenca per il movimento fatto, e suonò il campanello. 
Attese, guardando il nulla. Secondi su secondi. Gli parve di riuscire ad ascoltare il mondo che girava intorno, mentre aspettava; poi, un rumore di passi.
«Ah, sei tu!»
«Sì. Posso entrare?»
«Non lo so. Perché dovrei?»
«Perché... perché non può finire così!»
«Davvero?» 
«Davvero!»
«Sei uno stronzo, e tu lo sai!»
Una folata di vento lo colpì in pieno e gli fece più male della porta che gli aveva chiuso in faccia. 
Tornò a suonare. Una, due, tre volte. 
Lei riaprì. 
Portava i capelli sciolti, capricciosi e volubili su un viso ovale segnato dall’ira. 
Gli occhi grandi, di un delicato color nocciola, lanciavano insulti. 
La bocca, piccola e regolare, dalle labbra chiare, no, invece; si tratteneva: ma era palese che il dizionario era aperto alla pagina dei “vaffanculo” e pronto ad essere urlato. 
«Che vuoi ancora?»
«Hai già deciso, vero? Per tutti e due?»
«Io decido per me: e tu non più fai parte della mia vita. Puoi far quel che ti pare. Tanto fuori è pieno di cretine che ti seguirebbero anche in capo al mondo. Hai solo l’imbarazzo della scelta. Come quella di ieri sera, alla festa di Luca. Come si chiamava? Eh? Anzi, come ti chiamava? Ammore! Eh? Sei solo uno stro...» 
«...Nzo! Va bene! È stato un momento di... debolezza! Io non volevo...» 
«Sì, certo! Non te la volevi fare alla festa. Magari, nel weekend, con calma. Tanto con me una scusa l’avresti trovata! Sei bravo in queste cose tu, l’ho capito, oramai».
Ma intanto la porta non si era chiusa di nuovo. 
Lui appoggiò una mano allo stipite. 
«Si chiama Elena. Lavora come commessa in centro, in una profumeria. Una donna volgare, in realtà. In negozio, tutta elegante e forbita; fuori, scurrile e insulsa. Alt! So già cosa pensi: meglio così, no? Due colpi e poi... chi si è visto si è visto! Ma io non l’ho nemmeno accompagnata a casa, se lo vuoi sapere...» 
«Sei bravo a raccontare bugie... Ma se ti mangiavi il suo davanzale con gli occhi! Lo hanno visto tutti!» 
«Tutti... ma certo, tutti! Anche tu. Poi sei andata via ed io sono sceso a cercarti. Ho visto il tassì che avevi chiamato». 
«Ma che t’importava? Tanto avevi tra le mani il rimpiazzo, no?» 
«No. Sono andato via pure io. A piedi. Verso il Lungotevere». 
«Il Lungotevere? E a fare che? Espiare, forse? Magari ti fossi buttato!» 
«No» fece lui non raccogliendo la cattiveria. «A guardare». 
La porta si era aperta di più ed un pertugio, largo abbastanza, si era formato tra la spalla della ragazza e il telaio dell’uscio. Lui vi s’infilò lentamente, per accostarsi a lei e, allungando la mano, appoggiare la bottiglia sul tavolinetto del telefono, lì accanto. 
«E sai cosa ho visto?» 
«Cosa?» fece, di rimando, la fanciulla.
«Ho visto me stesso. Nei viali passavano poche macchine, e ne ho approfittato per raggiungere ponte Sant’Angelo. 
Per poco un deficiente con una moto non mi pigliava mentre attraversavo via di Panico. Vabbè, ho pensato, è proprio una serata di quelle! Poi mi son appoggiato al parapetto del ponte e mi son messo a guardare il fiume e a pensare. Mi son lasciato andare ai ricordi: a quando ti ho conosciuta, in quel baretto di Tor di Quinto, al primo appuntamento, alla prima volta che siam stati soli, senza gli amici. E ho veduto. Ho veduto un ragazzo semplice, diverso da quello che sono. Un ragazzo felice. Che aveva incontrato la sua stella polare, il suo centro di gravità. Permanente».
Lei s’era resa conto che oramai quella voce le arrivava da ben dentro la casa, ma non trovò più l’ira per cambiare le cose e richiuse l’uscio. 
La voce veniva dalla cucina, dove lui aveva portato la bottiglia e ora stava prendendo un bicchiere qualsiasi dallo scolapiatti sopra l’acquaio, senza curarsi del fatto che non fosse del tipo adatto al vino portato. 
«All’improvviso, come mi fossi risvegliato da un sogno, tutto è scomparso. Quelle acque erano tornate grigie e limacciose. Ora ci vedevo riflessa solo questa faccia, con la barba corta e le occhiaie. Una faccia vincente? Beh, potevo tornare alla festa e portarmi a letto Elena, la commessa... Ma accanto a me si era fermato un giovane, che teneva in mano una rosa; sai, di quelle che si comprano a Porta Portese, da... Oddio, non mi ricordo il nome! Beh, non m’importa! È arrivata di corsa una ragazza e lui l’ha abbracciata, sollevandola da terra e facendole fare una piroetta in aria. Poi le ha donato la rosa e, presa da una tasca una scatolina di raso, le ha detto solo: “ti amo”. E lei, gli si è ributtata al collo e sono rimasti così, stretti stretti, per un’eternità. Io me ne sono andato, come per non disturbare, come per non rubargli la felicità che usciva dalle loro labbra. E sono andato a comprare questa bottiglia. Che ti ho portato ora. Per festeggiare. So che non posso far altro che chiedere scusa. So che potrebbe ricapitare, anche se mi perdonassi. Ma so anche che ti ho amata dal primo minuto che ti ho visto, ti amo e ti amerò sempre. Sono fatto così, hai ragione. Sono uno stronzo. Quindi è giusto liberarsi di me. Me lo aspettavo. Ecco perché la bottiglia. Bevila alla tua salute e alla tua futura felicità. Magari tu sei destinata a trovarla come quei due ragazzi, e a tenerla con te per sempre. Io... Io che l’ho incontrata, invece, si vede che non ne sono capace».
Detto questo, stappò la bottiglia e riempì il bicchiere, poi lo posò sul tavolo di cucina e fece per andarsene. 
Lei lo fermò che stava per varcare l’ingresso. Gli prese il braccio. I suoi occhi nocciola avevano dimenticato tutto e si tuffarono di nuovo in quelli di lui, azzurri come il mare più bello che avesse mai visto. 
Avrebbe voluto dirgli che era un gran furbastro figlio di puttana, che non si faceva così, che la prossima volta gli avrebbe staccato a morsi un... non sapeva nemmeno lei cosa, ma riuscì solo ad appoggiarsi alla sua maglietta, a respirare il profumo della sua pelle, che era suo, solo suo, e di nessun’altra. 
Come le ali di un angelo, quelle braccia robuste d’atleta si aprirono ad accoglierla e delicatamente la cinsero a sé. 
Un primo bacio arrivò subito, dolce e tenero. Un secondo cominciò a prendere forma subito dopo, come le parole di scusa, e lacrime d’angoscia repressa si sfogavano, scendendo sulle gote di entrambi.
 
C’era un filo di Ponentino quel pomeriggio, sulla città. Alleggeriva la canicola e permetteva ai più temerari di sfidare l’estate e andare a farsi due passi, magari fino al Pincio o a Villa Borghese. 
Le botticelle vagavano nel traffico maleducato e disordinato intorno ai Fori Imperiali, su Via del Corso e fino al Quirinale o al Vaticano. 
Nessuno si accorse che la Felicità aveva deciso di dare un’altra opportunità a due anime, tra Campo de’ Fiori e Piazza Navona.
 
Andrea Ronchetti

                                                                                                                   

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